venerdì 29 maggio 2020

Henri Rousseau l'artista tra scimmie, fiabe e tanti colori



Henri Rousseau l'autodidatta maestro della pittura.
L'opera pittorica che vediamo qui sotto ha come titolo Io, ritratto e paesaggio ed è stata realizzata dall'artista Henri Rousseau negli anni 1889 e 1890. Per ingrandire le immagini cliccate sopra ad esse.


Henri Rousseau e autoritratto


Il pittore francese Henri Julien Félix Rousseau nasce in una cittadina della Francia chiamata Laval nell'anno 1844 dal padre Julien e dalla madre Eléonore Guyard. L'artista vive purtroppo una vita non proprio felice, spesso tra momenti di vera miseria per alcuni debiti contratti che non riesce a pagare e qualche piccolo reato che gli fanno conoscere persino il duro carcere. Ma il “doganiere”, dal nomignolo dato a Rousseau dai conoscenti per via del suo modesto lavoro alla dogana continuerà ugualmente per la sua strada, fregandosene di tutto e continuando anche a seguire la sua più grande passione che è quella della pittura artistica. Il tutto con una sua particolare visione che ha del mondo che lo circonda e che lui rappresenta nelle sue tele con un suo personale stile Naif che ormai conosciamo molto bene. Un grande amore quello che ha Rousseau per la pittura che lo incoraggerà a creare e a realizzare molte opere sino alla sua morte che arriva nell'anno 1910 quando agli inizi del nuovo secolo il pittore aveva 66 anni. Quando era in vita purtroppo le opere e i lavori artistici di Rousseau non vennero molto apprezzati dai vari critici o dagli esperti di arte suoi contemporanei. Addirittura la sua arte non gli porterà nessun vantaggio economico per poter diciamo vivere in modo più soddisfacente come era anche giusto che fosse. Soltanto negli ultimi anni di vita, il pittore Rousseau grazie anche ad una sua piena maturazione artistica e ad un maggiore affinamento per la pittura riesce a sviluppare quel suo stile personale divenuto oggi da subito riconoscibile e tipico nei suoi lavori. Infatti nelle ultime opere di Rousseau riconosciamo subito ammirandole un ricco uso del colore con una resa davvero meravigliosa. Inoltre vediamo e riconosciamo nei suoi dipinti anche delle belle raffigurazioni con delle scene che sembrano uscire da mondi meravigliosi. Sono mondi fantastici, tutti fatti di fiaba o di sogno e da queste belle tele si incomincerà a valutare il vero talento dell'artista Rousseau.


Henri Rousseau opera Incantatrice di serpenti del 1907


Qui sopra vediamo una immagine di una altra opera molto famosa di Rousseau intitolata L'incantatrice di serpenti del 1907. Altri artisti e amici di Rousseau inizieranno ad ispirarsi a lui, e vedranno la sua arte come se questa è una esperienza davvero innovativa e d'avanguardia. Le visioni quasi fiabesche che vengono rappresentate nei dipinti di Rousseau entusiasmeranno tanti critici ed esperti d'arte. Addirittura ci saranno alcuni grandi artisti già affermati in quel tempo del calibro di Pablo Picasso, Gauguin o Kandinsky tanto per citare qualche nome che vogliono rendere il giusto merito al loro amico, a Henri Rousseau.


Henri Rousseau opera Scimmie del 1906


L'opera Scimmie di Henri Rousseau del 1906.
l'opera di cui vediamo una immagine qui sopra che ha come titolo Scimmie è un dipinto realizzato intorno all'anno 1906 dall'artista francese Henri Rousseau. Scimmie è stato realizzato grazie alla tecnica dei colori ad olio su un supporto di tela avente come dimensioni 145,5 per 113 centimetri circa. La possiamo trovare esposta presso il Philadelphia Museum of Art. La scena raffigurata in quest'opera è una di quelle più tipiche, le scene più amate da Rousseau e rappresenta alcuni animali esotici in una grande giungla lussureggiante. Sappiamo che Rousseau non fece mai dei viaggi lontani, magari per località esotiche che tanto amava. Il pittore però aveva la passione di passare intere giornate presso i giardini botanici di Parigi, stando quindi sempre a contatto con il bellissimo verde delle piante e dei fiori di quei posti. Sicuramente in questi luoghi iniziò a farsi una sua idea artistica molto personale, apprezzando la bellezza della natura con le sue perfette forme ben definite, le loro luci o i loro colori.
Guardando l'opera Scimmie, la prima cosa che notano i nostri occhi è la predominanza del colore verde usato nei vari toni per descrivere con grande abilità e realismo la ricca vegetazione di una giungla, composta da tante piante e milioni di foglie. Nascoste in questa vegetazione vediamo alcune scimmiette di cui due abbracciate tra loro al centro che fanno quasi timidamente capolino tra il fogliame. Vediamo anche un uccello che sta sopra di esse appollaiato su di un ramo che sembra sottile mentre il nostro occhio naturalmente viene attratto dal bianco di un fiore che spicca a sinistra della scena, mentre una piccola porzione di cielo si intravede su in alto. I dettagli delle foglie e degli animali sono dipinti con dei contorni netti e precisi che sono tipici dello stile Naif. Il tutto ci fa sembrare quasi ad una scena antica, dipinta per descrivere la fiaba di un bambino. Davvero belle e piene di fascino queste visioni straordinarie di Rousseau.

mercoledì 27 maggio 2020

Toulouse Lautrec celebre artista della Belle Epoque

Henri de Toulouse Lautrec l'artista francese della Belle Epoque.
Gli appassionati di arte conoscono molto bene il periodo che viene tra la fine dell’Ottocento e l'inizio del nuovo secolo. Per esempio se prendiamo gli ultimi vent'anni dell'Ottocento si sa che questo è stato un periodo davvero scoppiettante per le società e la cultura di alcune grandi città europee. Per esempio nelle periferie e anche al centro di Parigi si è vissuto in quegli anni qualcosa di veramente unico, una bellissima epoca, ricca di novità per l'arte ma anche di grandi cambiamenti sociali e umani. Questo periodo fu soprannominato dai parigini come il periodo della Belle Epoque.

L'artista Toulouse Lautrec


Infatti in quel tempo la vita dei parigini non era ancora dominata in modo negativo dalla fretta, dal traffico delle automobili o dal caos che purtroppo abbiamo noi oggi. All'epoca anzi si aveva il tempo e i mezzi adatti per divertirsi molto ma anche per poter riflettere e vivere una bella e serena vita di comunità se solo si voleva. La periferia di Parigi al tempo della Belle Epoque brulicava di numerosi cafè-chantants, di sale da ballo, di cabarets e di altri locali tipici a tema che lanciavano nuove mode e tanti divertimenti, sempre pieni di colore e di feste danzanti molto frequentati. per esempio succede che alcuni mulini di Montmartre di Parigi non lavoravano più, non macinavano più il grano. E allora qualcuno pensò di usare uno di questi mulini per un altro scopo. Infatti le pale di uno di questi mulini divennero celebri come motivo ornamentale. Uno dei mulini era diventato un richiamo molto suggestivo tanto che nel 1889 quando si penso di far sorgere un locale da ballo si dipinsero proprio le pale e il mulino di un bel colore rosso vivo. Era nato così il famosissimo Moulin Rouge che ancora oggi si può andare a vedere ed è un richiamo per milioni di turisti. Vediamo questo edificio nell'immagine qui sotto.

Il locale Moulin Rouge


L'artista Henri de Toulouse Lautrec e le sue donne.
L'artista di quell’ambiguo mondo notturno francese, fatto di locali e di gente danzante e divertita fu un personaggio molto singolare, un anima di artista messa in un piccolo corpo deforme. L'artista dei locali della Belle Epoque era addirittura un nobile. Era il conte Enrico Maria Raimondo di Toulouse Lautrec-Monfa meglio conosciuto nel mondo dell'arte semplicemente come Toulouse Lautrec, lo vediamo in una sua fotografia su in alto.

domenica 24 maggio 2020

La persistenza della memoria la celebre opera di Salvador Dalì



La persistenza della memoria è il titolo di uno dei più celebri dipinti che l'artista spagnolo Salvador Dalì ha realizzato durante la sua stravagante ed eccentrica vita dedicata soprattutto alla sua più grande passione, l'arte. Salvador Dalì è conosciuto dagli esperti dell'arte anche per essere stato uno dei più importanti esponenti di quel Movimento culturale nato nei primi decenni del Novecento che venne chiamato Movimento Surrealista o Surrealismo. Qui sotto vediamo una immagine dell'opera di Dalì intitolata La persistenza della memoria realizzata nel 1931.


Salvador Dalì opera La persistenza della memoria


Come già detto quest'opera è stata realizzata dal Dalì intorno all'anno 1931. Per realizzarla sembra che l'artista ci abbia messo molto poco tempo. Addirittura si parla che Salvador Dalì fini la sua opera più importante in appena 2 ore e mezzo circa. L'artista utilizzò come tecnica quella dei colori ad olio stesi su di una piccola tela con delle dimensioni di circa 24 per 33 centimetri. Nel Gennaio del 1932 quest'opera venne esposta nella Galleria Julien Levy a New York per una Mostra retrospettiva dedicata agli artisti Surrealisti. Dopo il grande successo avuto in quella Mostra, La persistenza della memoria venne acquistata dal MOMA, il Museum of Modern Art sempre nella città di New York dove possiamo ammirarla anche oggi.

Salvador Dalì La persistenza della memoria particolare dell'opera


Una breve descrizione dell'opera La persistenza della memoria di Salvador Dalì.
Guardando con un po' di attenzione il dipinto di Salvador Dalì La persistenza della memoria possiamo da subito notare che vi sono alcuni oggetti che sembrano essere i veri protagonisti della scena. Sono molto importanti perché si legano sicuramente con il tema o il concetto che il Dalì voleva trasmettere a tutti noi. Questi oggetti che sembrano raffigurare una serie di orologi abbastanza strani li vediamo dipinti in primo piano tra la parte sinistra ed il centro della tela. Sappiamo che gli orologi vennero inseriti solo dopo nel quadro. Infatti Dalì aveva già dipinto la scena del paesaggio di Port Lligat ma poi non sapeva come continuare. Diciamo che gli mancava ancora molto in quell'opera, una vera idea da genio surrealista realizzata appunto da un artista come lui. Idea che venne dopo e che Dalì stesso ci descrive che abbia avuto durante una cena (come leggiamo sotto). Continuando, di questi oggetti riconosciamo anche il tipo di orologio. Sono di quelli che non si vedono più oggi tranne che dai collezionisti. Fanno parte del passato e magari si usavano anche all'epoca in cui viveva Salvador Dalì. Sono degli orologi da taschino o come qualcuno li chiamava del tipo a “cipolla” e sembrano indicare una certa ora. Questi orologi nel dipinto sono appoggiati tutti su un qualcosa. Questa può essere una base a forma di parallelepipedo o su di un ramo di albero piantato in questa base, o ancora su di un altra forma molto strana. Quest'ultima forma sembra essere un bianco viso umano dove riconosciamo il naso e la grande palpebra chiusa. Uno degli orologi ha appoggiata su di esso un mosca, della quale l'ombra sembra segnare le ore 12. Un altro orologio è stato dipinto dal Dalì come se fosse chiuso. Questo è pieno di tante formiche che sembrano disegnare un piccolo motivo decorativo. Quello che però balza subito ai nostri occhi è l'aspetto di questi strani orologi. Infatti quasi tutti sembrano molto molli, sembrano flosci come se addirittura si stanno sciogliendo come succede ad una caramella al sole. E tutto questo avviene in un dipinto in cui Salvador Dalì inserisce come sfondo uno strano paesaggio surreale che viene ripreso dall'alto. Questo paesaggio abbiamo detto dovrebbe raffigurare una zona precisa della località di Port Lligat. Si nota sempre nell'opera del Dalì anche un vecchio tronco d'albero con un ramo piantato su una specie di piedistallo o di base, e sulla destra vediamo delle alture che finiscono sull'acqua.
Notiamo come Dalì usa i vari colori in quest'opera. Questi sono sia dei colori caldi che quelli freddi oltre che alcuni toni scuri, utilizzati per evidenziare le ombre molto profonde che la luce che viene frontalmente genera. La composizione è del tipo asimmetrica. Cioè vediamo come tutti gli elementi del quadro sono volutamente distribuiti in maniera disordinata e disorganizzata all'interno di uno spazio aperto.
Qualche spunto e riflessione sull'opera La persistenza della memoria di Salvador Dalì.

giovedì 21 maggio 2020

Gli Artisti e i loro cambiamenti durante i vari periodi storici


Gli artisti nei vari periodi storici.
Spesso quando pensiamo o parliamo di un qualunque Artista facciamo l'errore di associarlo ad una persona che abbia magari un carattere piuttosto strano, particolare. Infatti siamo tenuti a vedere gli artisti come a delle persone con dei caratteri ribelli, egocentrici, lunatici. Sotto vediamo Salvador Dalì uno degli artisti più eccentrici.

L'artista Salvador Dalì


Insomma diversi dal normale modo di vedere una persona della media sociale. Sicuramente gli artisti più bravi e i grandi maestri devono avere per forza un qualcosa in più della norma capace di far uscire tutto il genio espressivo ed il talento. Tantissimi capolavori dell'arte sono scaturiti attraverso una forza interiore straordinaria, qualcosa di naturale e unico che non tutti possono avere. Oggi nell'era moderna, un artista celebre è tenuto in grande considerazione, ed è una grande personalità nella società civile al pari di un vero V.I.P. Ma posso dirvi con certezza che per gli artisti non è stato sempre così roseo e bello il loro lavoro.
Nell'antichità e per un lungo tempo tutti gli “artisti”, in primis i pittori, gli scultori e gli architetti venivano considerati come dei semplici e umili operai, degli artigiani. Addirittura spesso alcuni artisti venivano anche trattati male o come se fossero delle persone da evitare. Molti infatti vivevano come degli emarginati. Il lavoro artistico che gli antichi artisti facevano era realizzato o per vera passione o perché erano obbligati dai loro padroni. Nell'antica Grecia cosi come anche durante l'Impero Romano l'artista era molto disprezzato, veniva trattato quasi allo stesso modo di uno schiavo, questo perché si pensava che lavorasse usando soltanto le proprie mani, quindi fisicamente e basta senza metter nulla di suo. Però è proprio nell'antica Grecia che si incominciano a intravedere dei piccoli segnali positivi per gli artisti, segni di un grande cambiamento. Già nel corso del IV Secolo a.C. Infatti alcuni degli artisti greci iniziano ad apporre le proprie firme su alcuni lavori che realizzano. In questo modo attraverso una semplice firma apposta su un opera, gli artisti cercavano di dimostrare la loro volontà di considerarle delle opere uniche e irripetibili. Insomma l'artista iniziava a prendere coscienza del proprio lavoro e soprattutto del proprio talento. E con la loro firma rivendicavano un giusto e meritevole riconoscimento. Quegli antichi artisti non vogliono essere più visti come dei semplici operai o artigiani che usano le mani e basta, senza nulla togliere a questi onorevoli lavori.

Leonardo da Vinci autoritratto


Si dovrà però aspettare ancora molti secoli prima che i pittori, gli scultori e gli architetti riescono a conquistare una vera e propria considerazione sociale. Se pensiamo che anche l'artista del Medioevo è ancora considerato una persona che esercita un normale mestiere. Anche se però rispetto ad altri lavoratori egli viene già considerato come una persona che ha delle abilità particolari, molto speciali. L'artista del Medioevo è obbligato per esempio a iscriversi ad una delle corporazioni, che sono una sorta di club con delle regole ben precise e a volte molto rigide. Nel Medioevo ogni artista doveva sottostare ai voleri del committente che chiedeva l'opera. Di solito quindi era quest'ultimo a decidere quasi anche nei dettagli cosa dipingere o scolpire. Al committente spettava anche la scelta dei vari materiali da usare per l'opera, oltre i colori. Dell'opera finita si apprezzava quasi sempre per primo i vari materiali o i tessuti oltre che i colori, e soltanto dopo ma non sempre anche la bravura ed il talento dell'artista.

lunedì 18 maggio 2020

Filippo Lippi il frate pittore tra i grandi del Rinascimento


Anche Filippo Lippi per vocazione prende i voti religiosi e si fa frate diventando quindi per tutti il frate pittore così come aveva fatto un altro suo collega artista e suo contemporaneo. Sto parlando di Guido o Guidolino di Pietro, nome all'anagrafe di colui che divenne celebre nella storia dell'arte col famoso nomignolo di Beato Angelico. Questo avviene per i due pittori nella bellissima città di Firenze all'inizio del Quattrocento, cioè durante un periodo storico molto ricco di cambiamenti e di rivoluzioni per l'uomo soprattutto nel campo della cultura e dell'arte che stava pian piano nascendo e che verrà conosciuto col nome di Rinascimento fiorentino.


Filippo Lippi Madonna con bambino e due angeli


Filippo Lippi insieme al Beato Angelico e a Domenico Veneziano vengono considerati la prima vera generazione di grandi pittori fiorentini venuta subito dopo il grande Maestro Masaccio, ossia colui che ha svolto un ruolo decisivo nella storia dell'arte e della pittura portando cambiamenti sia nelle tecniche che nelle idee spesso rivoluzionarie attraverso il nuovo uso della prospettiva e della resa espressiva delle opere. Inoltre Masaccio diede una elevata e centrale importanza anche alla dignità dell'uomo che veniva raffigurato nelle sue opere.


Filippo Lippi Autoritratto nel part


Qui in alto vediamo un Autoritratto di Fra Filippo Lippi nell'immagine che ritrae un piccolo dettaglio dell'opera intitolata Incoronazione della Vergine datata intorno al 1441-1447 e collocata presso il Museo degli Uffizi di Firenze.
Il pittore Filippo figlio di Tommaso Lippi nasce nella città di Firenze intorno all'anno 1406. Già sin da bambino Filippo Lippi purtroppo avrà a che fare con dei brutti momenti di vita. Infatti ha dovuto vivere alcuni brutti drammi dovuti ad alcuni lutti in famiglia per lui molto importanti. Infatti il giovane Filippo rimane orfano dei genitori quando ancora era in tenera età. Nei primi anni cresce in qualche modo con le cure e l'amore di una sua parente che gli esperti biografi affermano essere una sua zia. Quando compie otto anni il bambino viene affidato nelle mani dei Carmelitani, alcuni religiosi che vivono presso il vicino Convento del Carmine. In questo Convento Filippo Lippi inizia a crescere vivendo una vita molto serena e umile. Gli piace molto lo studio in generale ma soprattutto Filippo Lippi già da piccolo ha una grande passione che fa vedere a tutti i frati e al suo Priore che intanto si affeziona molto a lui al punto che lo aiuterà molto, quasi come fosse un padre. La passione che nutre con amore Filippo è quella verso l'arte in genere e verso la pittura in particolare, questa unita a un grande talento artistico che al giovane viene molto spontaneo. La semplice e quasi monotona vita vissuta da Filippo Lippi all'interno dell'edificio religioso lo portano in modo quasi naturale nel 1421 quando ha circa 15 anni a prendere i voti religiosi nell'ordine dei Carmelitani. Gli studiosi affermano che questa svolta di Filippo Lippi di prendere i voti e farsi frate sembra che sia dovuta soprattutto ad una sorta di consuetudine acquisita nel tempo. Cioè una ovvia continuazione della vita vissuta sino ad allora nel Convento. Dico questo soltanto per far capire ai lettori che vi è una certa differenza col pittore Beato Angelico che questa vocazione, questa diciamo chiamata Divina l'aveva sentita realmente nel profondo dell'anima. Da alcuni documenti storici trovati nel Convento del Carmine si sa anche che dal 1430 in poi frate Filippo Lippi viene riconosciuto e considerato da tutti anche con la qualifica di “Dipintore” che tradotto significa appunto pittore.


Filippo Lippi opera Madonna del trivulzio


In questo antico luogo religioso di Firenze che oggi dopo tante modifiche e cambiamenti è diventata La bellissima Basilica di Santa Maria del Carmine, Filippo Lippi ha sicuramente modo di studiare e imparare molto. Andrà anche ad ammirare i bellissimi capolavori degli affreschi della Cappella Brancacci realizzati dal grande maestro Masaccio e da Masolino da Panicale che sono considerate come i primi capolavori della pittura rinascimentale, capaci di influenzare con quella potenza espressiva e l'innovativa pittura la mente del Lippi e di chi li osserva ancora oggi.

venerdì 15 maggio 2020

Il Beato Angelico il pittore del Quattrocento

Il Beato Angelico per l’Arte dei Linaioli.
Immaginiamoci la scena in quell'epoca, magari con una bella giornata di sole. Siamo nella prima metà del Quattrocento e l’arte dei Linaioli, ossia una delle corporazioni di mercanti più in vista a Firenze decide di far dipingere per la propria sede un tabernacolo per onorare la Nostra Madonna.


Beato Angelico part dell'opera Madonna dei Linaioli


In quel periodo vi erano molti bravi pittori che si erano messi in luce per il loro talento che avevano mostrato attraverso dei lavori artistici. Sembra però che molti di questi pittori parlavano e ostentavano anche un qualcosa in più. Si parlava infatti di qualcosa di nuovo, di un arte troppo rivoluzionaria e visto le molte richieste che avevano ricevuto esigevano dei compensi molto alti per i committenti del tabernacolo. Effettivamente quegli anni sono molto importanti, parliamo del periodo d'oro per la storia dell'arte con l'inizio del Rinascimento appunto che riuscì a cambiare l'intero universo dell'arte con le nuove idee e le nuove tecniche portate da coloro che oggi conosciamo come i più grandi maestri della pittura, della scultura e anche dell'architettura rinascimentale. Occorreva quindi da parte dei committenti trovare un artista come potremmo dire oggi più alla mano e senza troppe pretese di natura economica. In fondo pensandoci bene si trattava solo di una piccola opera dipinta, destinata alla devozione dei fedeli e basta da farsi si con tutte le regole e tradizioni ma senza avere tante pretese o novità. Finalmente fu trovato il pittore adatto, un artista quasi sconosciuto e per di più era anche un religioso, era un frate. L’Arte dei Linaioli lo incaricò quindi di dipingere l'opera, e queste pensate sono le parole dell'epoca trovate nei documenti storici che testimoniano il fatto: uno tabernacolo di Nostra Donna dipinto di dentro e di fuori con i colori oro et azzurro et arieto de’ migliori et più fini che si truovino, ecc. Tradotto più semplicemente l'artista doveva realizzare un opera con colori Oro, azzurro e argento dei più fini. Ecco che cosa gli assennati mercanti intendevano avere in cambio del loro denaro speso. L’accordo fu annotato nel loro registro ed esiste ancora oggi come una preziosa testimonianza. Vi era annotato anche il compenso pattuito del pittore: Per tutto et per sua fatica et manifattura centonovanta fiorini d’oro. E aggiungeva: o quello che parrà alla sua coscientia. Questo sperando in uno sconto che poteva fare il pittore stesso. Se pensiamo comunque che in quegli anni tutti gli artisti erano visti come dei semplici lavoratori, dei comuni artigiani al pari per esempio di un falegname o di un manovale edile. Soltanto col Rinascimento si iniziò ad apprezzare ed a riconoscere veramente gli artisti per quello che creavano. Ognuno col proprio stile e le proprie idee che venivano dopo riconosciute e quindi anche rivalutate.


Beato Angelico opera La presentazione al Tempio


Questo pittore sicuramente accontentò i suoi committenti in quanto egli dipingeva quasi sempre per sua passione, senza percepire nessun compenso, o al massimo lo dava a favore del convento dove viveva. Questo accordo è datato 1433 e i mercanti non sapevano ancora di aver commissionato il loro lavoro a questo pittore allora “sconosciuto” che poi si scoprirà essere Frate Giovanni da Fiesole, passato alla storia dell’arte col nome di Beato Angelico uno dei più grandi Maestri della pittura del Quattrocento, e il quadro che l'Angelico dipinse per la corporazione fiorentina è il famoso Trittico conosciuto come la Madonna dei Linaioli. Su in alto vediamo un particolare della Madonna del Linaioli di Firenze.
Il pittore Beato Angelico nasce a Vicchio nel Mugello intorno al 1387-1388, secondo la tradizione accettata e scritta da Giorgio Vasari, celebre artista vissuto nel Cinquecento che scrisse anche le prime biografie su tanti celebri maestri dell'arte. Muore il 18 Febbraio del 1455 all'età di 68 anni mentre era residente nella città di Roma. Il nome all'anagrafe del Beato Angelico sembra essere stato Guido, o Guidolino di Pietro. Nel momento in cui il pittore prese i voti religiosi diventando un frate volle essere chiamato Fra Giovanni da Fiesole. Il suo terzo nome, quello che tutti noi conosciamo bene ossia il Beato Angelico, ci viene dato dalla leggenda nel senso che le persone e gli amici che lo conoscevano ammettevano che prima di essere un uomo e un pittore egli era per i suoi modi e le sue parole soprattutto un Santo.

mercoledì 13 maggio 2020

Domenico Ghirlandaio un maestro del Rinascimento tra origini e opere


L'artista conosciuto come Domenico Ghirlandaio nasce nella città di Firenze nell'anno 1449, muore sempre a Firenze l'11 Gennaio 1494. Egli fu per l'arte dell'epoca considerato come un grande maestro e un grande pittore italiano nella sua città d'origine che amava molto, al punto tale che quasi tutta la sua carriera artistica tranne qualche eccezione la visse proprio a Firenze. Sotto vedete un autoritratto del Ghirlandaio nel particolare dell'Adorazione dei Magi. Un clic sulle immagini per ingrandirle.


Adorazione dei Magi part di Domenico Ghirlandaio


Il Ghirlandaio è ritenuto uno dei massimi protagonisti del Rinascimento italiano e fu contemporaneo di altri grandissimi artisti come Sandro Botticelli o Filippino Lippi solo per fare qualche nome, in quell'epoca conosciuta come il periodo d'oro per l'arte italiana e nella bella città di Firenze in cui governavano la potente famiglia De Medici e con Lorenzo detto il Magnifico a capo di tutto. Molte delle testimonianze sul pittore Domenico Ghirlandaio ci sono arrivate grazie a Giorgio Vasari che come sappiamo oltre ad essere un artista è stato anche un famoso biografo di molti artisti delle epoche passate. Tra queste forse la biografia di Leonardo da Vinci è quella più famosa del Vasari.

Domenico Bigordi detto il Ghirlandaio nasce primo di cinque figli dell'orafo Tommaso di Currado che di professione faceva il gioielliere con tanto di bottega in via dell'Ariento ossia la via dell'Argento, una strada chiamata così per via dei numerosi gioiellieri che vi erano. Il soprannome di Domenico, cioè il “Ghirlandaio” con il quale divenne celebre come artista gli è stato attribuito proprio perché il giovane ebbe un grande successo lavorando nella bottega del padre orafo quando soprattutto cesellava delle piccole ghirlande d'argento che poi venivano portate in testa come ornamento delle acconciature di tante giovani damigelle fiorentine.
Nella bottega però il Ghirlandaio lavorava controvoglia e alla fine il padre capì che non poteva lasciare l'eredità lavorativa di orafo al suo primogenito. Da buon genitore che era infatti concesse a Domenico di dedicarsi totalmente a ciò che lo appassionava di più, cioè all'apprendimento delle tecniche artistiche in particolare a quelle della pittura e del mosaico che erano una vera passione per il pittore. All'inizio il Ghirlandaio fu mandato presso la bottega d'arte di un maestro toscano, tale Alessio Baldovinetti un artista che è stato rivalutato molto negli ultimi decenni come un raffinato interprete del retaggio fiorentino con delle influenze fiamminghe. Da questo suo primo maestro della pittura il Ghirlandaio eredita quel cromatismo luminoso che risale a Domenico Veneziano. Inoltre alla formazione di Domenico contribuiranno anche i pittori il Pollaiolo e il Verrocchio. Infatti è probabile che Domenico Ghirlandaio frequentò anche la celebre bottega dell'arte del maestro Verrocchio che era una delle più importanti ed attive nella città di Firenze in quegli anni. Pensate infatti che meraviglia per noi appassionati di arte se potessimo andare a vedere con una “macchina del tempo” cosa succedeva in questa bottega del Verrocchio. Avremmo visto che si andava formando una nuova generazione di nuovi artisti. Sono tutti artisti che con il proprio talento, il loro stile e la loro arte daranno un grande impulso alla storia e alla cultura italiana. Artisti del calibro di Botticelli, il Perugino o Leonardo da Vinci tanto per citare qualche nome.
I primi lavori di Domenico Ghirlandaio.
Nel 1472 Domenico Ghirlandaio si iscrisse alla Compagnia di San Luca dei pittori certificando il termine del suo apprendistato.


Domenico Ghirlandaio opera part Santa Barbara


I suoi primi lavori indipendenti sono in alcune chiese di campagna dell'entroterra fiorentino. Tra questi una delle prime opere note del Ghirlandaio è un affresco nella località pieve di Cercina conosciuto come il Santi Girolamo, Barbara e Antonio Abate che è databile al 1471-1472 circa e di cui vediamo un particolare di Santa Barbara nella immagine in alto. Si tratta delle decorazione della fascia mediana di una nicchia semicircolare, in cui il pittore dipinse una finta architettura con nicchie marmoree divise da pilastri poggianti su una cornice modanata sopra alcune specchiature in finto marmo. Nelle nicchie si trovano i santi Girolamo, Barbara e Antonio Abate caratterizzati da una linea di contorno sottile e fluida e una colorazione vivace e armonica derivata dall'esempio di Domenico Veneziano. Nel San Girolamo soprattutto balenano ricordi dell'attenzione anatomica e della forza plastica di Andrea del Castagno sebbene l'insieme risulti morbido e con un movimento appena accennato, privo di drammaticità. Interessante è poi la ricerca illusionistica di alcuni dettagli che "escono" dalle nicchie, come i piedi sporgenti o le mani dell'uomo sotto santa Barbara che gettano una realistica ombra sui gradini.


Domenico Ghirlandaio opera Madonna della misericordia


Subito dopo il Ghirlandaio entrò nei favori della ricca famiglia dei Vespucci che erano alleati dei Medici e dipinse per loro una Madonna della Misericordia che vediamo qui sopra e una Pietà nella loro cappella nella chiesa di Ognissanti a Firenze. La cappella, una nicchia nella navata unica fortemente alterata dai rimaneggiamenti successivi era stata costruita nel 1472 e gli affreschi furono dipinti in una data immediatamente successiva, entro il 1475 quando il maestro era dedito ad altre opere. Nel gruppo di personaggi protetti sotto il manto della Vergine si trova anche il giovane Amerigo Vespucci, il celebre navigatore. In queste opere la personalità artistica di Domenico il Ghirlandaio appare già ben definita, soprattutto riguardo alla sua vivace descrizione dei tratti fisiognomici, indagati con fedeltà che rendono così diversi i personaggi l'uno dall'altro. A quegli stessi anni risale anche il Battesimo di Cristo e Madonna col Bambino in trono tra i santi Sebastiano e Giuliano, un affresco nella chiesa di Sant'Andrea a Brozzi nei pressi di Firenze.


Domenico Ghirlandaio opera San Girolamo nello studio


Il San Girolamo nello studio.
Tornato a Firenze, entro il 1480 sposò in prime nozze Costanza di Bartolomeo Nucci dalla quale nel 1483 ebbe il figlio Ridolfo, pure lui apprezzato pittore nella prima metà del Cinquecento. In tutto si sposò due volte, la seconda con Antonia di ser Paolo Paoli in data imprecisata ed ebbe in tutto ben nove figli.
Il Ghirlandaio venne incaricato dalla famiglia Vespucci di dipingere anche un San Girolamo nello studio ad affresco che facesse pendant con il Sant'Agostino del Botticelli in genere ritenuto opera leggermente anteriore (1480 circa), lo vediamo nell'immagine. Il Ghirlandaio nell'opera creò una figura serena e convenzionale, rendendo protagonista più che il santo le nature morte degli oggetti, che sono ordinatamente esposti sullo scrittoio e sulle mensole. Domenico si ispirò probabilmente a dei modelli nordici come forse il San Girolamo nello studio di Jan van Eyck che all'epoca si trovava forse nelle raccolte di Lorenzo il Magnifico.


Domenico Ghirlandaio opera Vecchio con nipote


A Domenico Ghirlandaio gli furono commissionati importanti lavori anche a Roma presso il Vaticano e nella famosa Cappella Sistina da Papa Sisto IV dove si recò insieme ad un gruppo di artisti. Dopo al suo ritorno a Firenze fu letteralmente sommerso da molte altre proposte di lavoro. Era ormai diventato un grande artista riconosciuto da tutti e lavorò sino alla sua morte avvenuta nell'anno 1494, quando aveva soltanto 45 anni. tra le ultime opere del Ghirlandaio troviamo anche il Vecchio con nipote, un meraviglioso ritratto molto realistico che oggi possiamo ammirare al Museo del Louvre a Parigi. Quest'opera davvero bellissima la vediamo nell'immagine qui sopra.


martedì 12 maggio 2020

Umorismo Le riflessioni allo specchio dello scemo del villaggio

Le riflessioni allo specchio.

Facciamoci la nostra solita risata in modo da stare anche più tranquilli visti i tempi che corrono. Un clic per ingrandire.

Umorismo con lo scemo del villaggio



Un saluto

Umorismo e vignette dallo scemo del villaggio

Facciamoci due risate insieme al nostro simpatico "Scemo" del Villaggio. Oggi ci vuole far riflettere sull'amore e sulla comunicazione dei nostri giorni, Mah, vediamo come va a finire. Un clic sopra ed avrete l'immagine ingrandita.

Umorismo con lo scemo del villaggio


Voi cosa ne pensate, è proprio così che ormai va il mondo?
Un saluto

lunedì 11 maggio 2020

Il Battesimo di Cristo Capolavoro di Piero della Francesca



Il dipinto intitolato Il Battesimo di Cristo è una bellissima opera di circa seicento anni fa realizzata da un grande maestro italiano, il suo nome era Piero della Francesca. Vediamo l'opera nell'immagine sotto.


Piero Della Francesca Opera Il battesimo di Cristo


Questa stupenda opera oggi si trova presso la National Gallery della città di Londra. È stata commissionata a Piero della Francesca intorno agli anni che vanno dal 1440 e il 1445 per essere adoperata come una Pala d'altare. Questo significa che Il battesimo di Cristo è un dipinto che per misure e forma doveva essere collocato esattamente sopra uno specifico altare di Chiesa o di una Cappella come era frequente in quel tempo decorare tali edifici, ed il tema dell'opera doveva essere quindi una scena con soggetti religiosi. Piero Della Francesca utilizzò per quest'opera una tavola di legno avente delle dimensioni di circa 165 per 116 centimetri e la tecnica che utilizzò era quella allora più conosciuta dei colori a tempera visto che i colori ad olio non erano ancora molto conosciuti in Italia, si diffonderanno dopo qualche anno. Osservando l'opera del Battesimo di Cristo notiamo subito che la forma della pala e costituita da un quadrato più un semicerchio ad esso sovrapposto, lo vediamo nell'immagine sotto. Quindi il pittore Piero della Francesca ha voluto realizzare una struttura geometrica molto precisa e proporzionale.


Piero Della Francesca Part Il battesimo di Cristo


Cosa rappresenta il dipinto Il battesimo di Cristo di Piero della Francesca.
Già dal titolo stesso riusciamo facilmente a capire cosa vogliono che l'artista realizzi per conto dei committenti che poi sono coloro che pagano per il lavoro finito. Il battesimo di Cristo tratta di un celebre episodio che possiamo leggere nel Vangelo secondo Matteo. La scena descritta nel libro sacro parla infatti del Nostro Signore Cristo che viene battezzato da Giovanni Battista. Se andiamo a leggere questo episodio del Vangelo infatti troviamo che Gesù dalla Galilea viaggiò per andare verso il fiume Giordano per farsi battezzare nelle sue acque sacre da Giovanni Battista. Leggiamo ancora che quest'ultimo riconosciuto Gesù disse che era Lui a dover essere battezzato dal Messia e non viceversa. Ma Gesù disse: <<lascia fare per ora, perché conviene che così si adempiano ogni giustizia>>. Il Battista a queste parole battezzò Gesù ed ecco che si aprirono i cieli, ed Egli vide Lo Spirito di Dio scendere su Gesù come una colomba bianca mentre la voce di Dio dal cielo affermava che quello era il Figlio Suo prediletto ed era molto compiaciuto di Lui.
Vediamo nel dipinto di Piero della Francesca che i personaggi principali della scena, cioè Gesù e Giovanni Battista sono raffigurati in primo piano al centro mentre alla sinistra possiamo vedere tre Angeli vicini ad un albero. Questi ultimi sono facilmente riconoscibili per via delle ali che si intravedono su di essi. Al centro del cerchio esatto del quadro l'artista ha collocato l'elemento più importante e cioè lo Spirito di Dio, rappresentato da una colomba bianca che sta a simboleggiare anche la purificazione da tutti i peccati attraverso il battesimo dello Spirito Santo, e contemporaneamente rivela per la prima volta agli uomini la vera natura Divina del Cristo suo Figlio che si è fatto uomo sulla terra proprio per salvare l'Umanità intera.

La giraffa nubiana di Jacques Laurent Agasse il pittore che amava dipingere gli animali



Tra la fine del Settecento e la prima metà del secolo successivo visse in Europa un pittore molto apprezzato per il suo talento artistico soprattutto per i temi che usava trattare nelle sue opere. Questo bravissimo artista si chiamava Jacques Laurent Agasse e il suo tema preferito erano gli animali in genere che raffigurava ovunque nei suoi dipinti anche se preferiva di molto sia i cavalli che i cani.


Jacques Laurent Agasse opera La giraffa nubiana


Agasse nasce nella città svizzera di Ginevra il 1767, muore nella città di Londra nel 1849 quando aveva 82 anni. L'artista passò i suoi primi anni nella sua città natale in Svizzera poi all'età di circa vent'anni andò a studiare la facoltà di veterinaria a Parigi dove sicuramente tra i tanti studi sugli animali che fece con molta pratica imparò pure le varie anatomie e le loro forme con tutti i dettagli, arrivando ad appassionarsi al punto tale che iniziò anche a raffigurarle in molte sue opere di pittura e diventando così celebre e conosciuto, molto apprezzato da vari committenti che lo chiamavano il pittore degli animali. Come detto i suoi animali preferiti erano i cavalli e i cani. Un po' meno frequenti erano alcuni animali esotici o pericolosi che iniziavano a farsi conoscere nelle città dell'Europa dai racconti di persone ricche che viaggiavano in terre lontane come voleva la moda all'epoca. Sembra comunque che Agasse nonostante le numerose e bellissime opere che realizzò con grande abilità e perfezione nei dettagli morì in totale miseria. Oggi molti dei suoi lavori sono collocate in importanti Musei e Gallerie come per esempio La Tate Gallery of London, o presso Fondazioni e collezioni private importanti come la Oskar Reinhart di Winterthur. In basso vediamo l'opera Il cavallo bianco al pascolo un opera di Jacques Laurent Agasse del 1807 che si trova nella collezione di Winterthur.


J L Agasse opera Cavallo bianco al pascolo


Jacques Laurent Agasse e la sua opera La giraffa nubiana.
Su in alto vediamo una immagine dell'opera realizzata intorno al 1827 da Agasse intitolata La giraffa nubiana. Il pittore usò per quest'opera la tecnica della pittura con i colori ad olio su una tela avente come dimensioni la misura di circa 127 per 101,5 centimetri. La giraffa nubiana è collocata presso il Castello di Windsor. Nella scena rappresentata vediamo raffigurata una giraffa in tutta la sua bella maestosità. L'animale che Agasse realizza in modo perfetto con i suoi particolari colori naturali sta piegando il lungo collo per poter arrivare a bere dell'acqua nella bacinella che sorreggono due guardiani vestiti in modo esotico. Dal cancello sullo sfondo notiamo che sembra essere un recinto, forse di un parco attrazzato. Accanto ai due guardiani vi è una terza persona ben vestita con abiti europei dell'epoca che osserva la scena e la giraffa. Costui dovrebbe essere Edward Crom, un ricco mercante e importatore di animali esotici per conto della corte reale. Una ricca e verde vegetazione fa da sfondo al dipinto di Agasse mentre si nota dietro la giraffa anche la presenza di due mucche egiziane di cui una seduta. All'inizio dell'Ottocento con i viaggi di ricchi turisti o di quelli commerciali che andavano ad intensificarsi di molto iniziò una vera e propria moda, quella di arrivare sempre più lontano e in posti mai visti da altri, portando poi da queste terre dei doni e dei regali particolari che spesso erano animali esotici mai visti prima, animali magari feroci e pericolosi come i leoni o i rinoceronti, ma anche animali calmi e pacifici con forme particolari come le giraffe o le scimmie o altri ancora. Ricchi mercanti o potenti nobili amavano parlare o farsi notare con questi stravaganti animali al punto da celebrarli in costosi dipinti che venivano commissionati ai più bravi artisti. Agasse era uno di questi ottimi artisti e l'opera della giraffa nubiana le è stata commissionata dal re Giorgio IV il quale pagò la somma di ben 200 sterline dell'epoca.


venerdì 8 maggio 2020

Le emozioni che proviamo guardando un opera d'arte


Tutti noi davanti ad una qualunque opera d'arte proviamo delle emozioni. Io personalmente di fronte ad un opera provo sempre un qualcosa a livello emozionale, spesso in modo anche molto diverso con delle sensazioni più o meno intense. Non ne parliamo poi se ci troviamo di fronte ad un meraviglioso capolavoro il quale riesce a risvegliare in noi tutti i sensi letteralmente. Cliccate sulle immagini che trovate qui per ingrandirle.

La Gioconda di Leonardo


Quanti di noi per esempio hanno pianto lacrime vere, quasi a straziarsi l'anima davanti alla Pietà di Michelangelo o ancora avere dei brividi intensi su tutto il corpo nel vedere quel viso e quel sorriso così enigmatico della Gioconda di Leonardo, o ancora trovarsi letteralmente spiazzati guardando un dipinto di Pablo Picasso come quello delle Damigelle d'Avignone. Trovate l'articolo sul sito su questa opera.

La pietà di Michelangelo


L’arte in tutte le sue molteplici forme, dalle più conosciute come sono per esempio la pittura, la scultura o l’architettura alle meno conosciute cioè quelle praticate da pochi artisti o perché sono considerate in modo secondo me errato come arti minori o di una certa nicchia porta sempre un grande benessere all'anima e una grande positività a noi esseri umani. Proprio per questo motivo io do un semplice consiglio a chiunque magari un giorno si sentisse un po' giù, demoralizzato e abbia del tempo libero da trascorrere come vuole.

Notre Dame a Parigi


Ecco il consiglio è quello di andare a visitare il più vicino Museo dell'arte, una Galleria o magari un bel sito architettonico. Vedrà che ammirando le opere e le meraviglie di questi posti piano piano il malumore scomparirà mentre assapora e si gode le bellezze artistiche che ha intorno.

Pablo Picasso Le damigelle d'Avignone


Lo sappiamo tutti che in Italia non dobbiamo fare molta fatica a trovare qualcosa di storico e di artistico vero? Mi risulta che fino a circa dieci anni fa, più del 50 per cento degli italiani non era a conoscenza dell’inestimabile valore artistico che l’Italia detiene. Infatti circa il 60 per cento di tutto il patrimonio mondiale di opere artistiche e architettoniche sta da noi, in Italia. C’è soltanto da fare un Wau! di fronte a queste cifre, oltre che essere anche molto fieri del Nostro Paese. Riprendendo il discorso di prima negli ultimi anni gli italiani hanno iniziato a frequentare di più i Musei ed i siti artistici, e hanno imparato molte più cose su di essi come per esempio che le opere d'arte non sono qualcosa di “palloso” come si pensava una volta. Anzi queste sono pieni di vita e di emozioni che ognuno di noi in modo soggettivo può captare secondo i propri gusti e le proprie sensazioni, in modo sempre vario. Quindi Amici lettori trovate ogni tanto un po' del Vostro tempo per arricchirvi lo spirito e anche gli occhi andando ad ammirare le opere d’arte e vedrete che sarà una esperienza davvero unica e positiva.

Ragazza con gatto opera di Balthus


Infatti mi piacerebbe sapere anche il vostro personale punto di vista su questo argomento. Cioè Quali sensazioni, quali emozioni o pensieri provate nel guardare per esempio le immagini di opere molto celebri e famose riportate in questo articolo, anche se non siete stati fisicamente lì dove sono esposte. Vi chiedo questo per una mia curiosità che parla proprio delle emozioni umane dovute alla visione di una opera d’arte. Potete farlo se vi va lasciando un Vostro commento alla fine di questo articolo.
Un saluto a tutti.


giovedì 7 maggio 2020

Il Caravaggio e la sua opera Incredulità di San Tommaso


Quando si parla o si pensa al grande artista italiano del Seicento Michelangelo Merisi conosciuto in tutto il mondo ed entrato nell'Olimpo dell'arte come il Caravaggio la prima cosa che viene in mente e la sua straordinaria abilità nel rappresentare e raffigurare la luce su una superficie piatta come può essere quella di una tela in modo molto così naturale e realistico.


Caravaggio opera Incredulità di San Tommaso


Uno dei tanti capolavori del Caravaggio arrivati sino a noi è quello conosciuto col nome Incredulità di San Tommaso di cui vediamo una immagine sopra. Questo è stato realizzato dall'artista in un periodo che va dal 1599 al 1601 con la tecnica dei colori ad olio su una tela di medie dimensioni di circa 107 per 146 centimetri. Questo dipinto può essere ammirato andando a visitare la Stftung Schlosser und Garten Potsdam-Sanssouci nella città di Potsdam. Osservando l'incredulità di San Tommaso capiamo che i personaggi raffigurati in essa fanno parte di una scena sacra, più precisamente di una scena della religione cattolica-cristiana che viene raccontata nella Sacra Bibbia. In questa opera Caravaggio infatti rappresenta un Gesù Cristo che dopo essere risorto dalla morte si presenta ad alcuni dei suoi Apostoli che vestiti di laceri tuniche sono sorpresi e meravigliati di ciò che vedono davanti ai loro occhi. Osserviamo come il Caravaggio abbia raffigurato in modo perfetto un San Tommaso che come sappiamo dalle sacre scritture è stato da sempre l'apostolo diffidente, colui che non crede se non tocca con le proprie mani, quello più restio a riconoscere la Santità della persona che le sta davanti.


Caravaggio part del dito di San Tommaso


E allora il Cristo del dipinto prende una mano di San Tommaso e l'accompagna con grande calma a toccare le proprie ferite e le piaghe che sono le testimonianze certe e reali della crocifissione e della sua Divina persona risorta per salvare l'umanità come aveva predetto a tutti. Caravaggio riesce a fissare questo preciso e intenso momento sulla tela con la sua abilità artistica e il suo grande genio, creando il punto più importante al centro della composizione con le teste del Cristo e dei tre Apostoli chine a formare quasi una sorta di cerchio mentre guardano le ferite aperte sul costato di Gesù. Notiamo anche che i visi sono molto naturali e realistici nei loro lineamenti. Questi non sono dei visi falsi, idealizzati ma sembrano proprio presi dal popolo della strada che il Caravaggio ha visto mentre passeggiava e magari ha preso qualche schizzo come modello. Magari sono visi di contadini o visi di povera gente del posto, visto come era solito lavorare il Caravaggio che spesso prendeva gente di strada e ne ritraeva i lineamenti. Purtroppo per questo suo modo di fare arte all'epoca era spesso anche molto criticato e le sue opere venivano spesso rifiutate dai committenti. Invece oggi quest'opera è vista e commentata dagli appassionati di arte come qualcosa di unico e meraviglioso, di così perfetto nei dettagli, per esempio con quel dito di San Tommaso che ancora non crede a ciò che gli sta davanti e quasi con fare beffardo, testimoniato dalle rughe che segnano la sua fronte e gli occhi sul vuoto affonda nella bianca carne del Cristo. Il centro della scena è illuminato dal Caravaggio con una luce intensa, quasi divina mentre gli altri Apostoli seguono il gesto di San Tommaso con reale emozione e grande attesa. La drammaticità di questo gesto così realistico viene accentuata dal forte contrasto creato dal chiaroscuro che serve proprio a evidenziare l'azione principale annullando quasi il resto e lo sfondo. Già mi sembra di immaginare guardando questo bellissimo capolavoro del Caravaggio l'attimo che viene dopo della scena rappresentata. Infatti come una perfetta fotografia storica mi immagino la magica tensione di quando tutti gli Apostoli presenti alzano gli occhi pieni di lacrime e colmi di emozione incrociano quelli del Cristo risorto che accenna un meraviglioso sorriso.
Caravaggio è straordinario come sempre.