Giorgio
da Castelfranco detto anche Zorzi come in molti lo chiamavano
all'epoca nel dialetto veneto è stato uno dei grandi maestri della
pittura italiana vissuto tra la fine del Quattrocento e l'inizio del
Cinquecento. Tutti noi però lo ammiriamo e lo conosciamo soprattutto
col suo celebre nomignolo ovvero quello di Giorgione il
maestro della pittura tonale nel Rinascimento.
Giorgione autoritratto come David |
Giorgione
è nato a Castelfranco Veneto all'incirca tra il 1477 e il 1478 e
anche se ha vissuto una vita molto breve ma sicuramente intensa,
morirà infatti di peste a soli 32 anni circa nel 1510 ci ha lasciato
dei meravigliosi capolavori e delle opere di pittura che
influenzeranno in futuro numerosi artisti diventati celebri come per
esempio il Tiziano. Il Giorgione partendo da alcune idee e da qualche
nuova intuizioni di altri artisti come il Giambellino e il
Carpaccio e ammirando di questi anche alcune opere arriverà a
sviluppare una sua personale “maniera” di creare arte attraverso
la pittura. A questo nuovo stile pittorico gli esperti daranno il
nome di pittura tonale. Prende il nome di pittura tonale perché il
Giorgione intuisce che attraverso i colori a olio usati con maestria
insieme ai loro molteplici toni si poteva trasmettere un nuovo modo
espressivo nelle opere del tutto autonomo. Un arte espressa dal
Giorgione attraverso una sottilissima modulazione nei rapporti
luminosi e cromatici e di quelli tra figure e elementi del paesaggio
che riescono a trasmettere dei significati profondi, indicando magari
il mutevole equilibrio che esiste tra l'uomo e la natura.
Il
grande biografo degli artisti Giorgio Vasari scriveva del Giorgione
“...venuto poi l'anno 1507, Giorgione cominciò a dare alle sue
opere più morbidezza e maggiore rilievo... senza far disegno,
tenendo per fermo che il dipingere solo con i colori stessi... fusse
il vero e miglior modo si fare il vero disegno. E ancora Marco
Boschini scrive del Giorgione nel libro Le ricche miniere della
pittura veneziana del 1664, “nel colorito trovò quell'impasto di
pennello così morbido che nel tempo addietro non fu; e bisogna
confessare che quelle sue pennellate sono tanta carne mista col
sangue”. Questa pittura a macchie intrisa di tinte crude e dolci
gli permise di sfumare i contorni e di rendere più veritiera la
rappresentazione della natura con i suoi elementi. Qui sotto vediamo
uno dei suoi celebri capolavori conosciuto come I tre filosofi
di Giorgione.
Giorgione opera I tre filosofi |
Per
questo il Giorgione è giustamente oggi considerato il capostipite
della Scuola veneziana senza nulla togliere agli altri grandi
capolavori e artisti venuti poco prima che ancora avevano qualche
influenza dell'arte Bizantina o Gotica.
Non
sono molte le opere del Giorgione arrivate sino a noi. Infatti si
pensa che siano circa una dozzina fino ad ora quelle conosciute dagli
esperti eppure queste opere sono sufficienti a testimoniare quanto
fosse grande il genio e il talento di questo artista che riuscì a
rivoluzionare il mondo della pittura durante il Rinascimento
italiano. Giorgione si formò presso la bottega del maestro Giovanni
Bellini e forse anche in quella del Carpaccio. Da li in poi iniziò a
maturare l'idea di dare forza ai colori, di variare i vari toni per
usarli come mezzo espressivo. Il colore nelle sue opere non svolge
più soltanto una semplice funzione simbolica o decorativa. Il suo
colore partecipa alla costruzione dell'immagine e delle scene da lui
pensate. Quasi tutti i dipinti conosciuti del Giorgione risalgono al
periodo che va dagli anni 1503 e sino alla sua morte nel 1510. le
prime opere come La Giuditta o la Pala di Castelfranco riflettono un
Giorgione alle prese con i primi esperimenti, alla ricerca di
qualcosa di nuovo ma è soltanto dal 1506 in poi che troviamo i suoi
più grandi capolavori della pittura che ancora oggi non sono stati
del tutto decifrati dagli esperti di arte lasciandoci un alone di
mistero intorno a loro. Tra questi abbiamo la celeberrima Tempesta
che vediamo sotto, I tre filosofi che vediamo sopra o la
meravigliosa Venere. Abbiamo anche un famoso autoritratto
realizzato intorno al 1507 che si ritrae come fosse il David che
vediamo su in alto.
Il
celebre capolavoro La tempesta del Giorgione tra cenni di
storia e ipotesi.
La tempesta opera di Giorgione |
L’opera
intitolata La tempesta è sicuramente uno dei simboli del “mistero
Giorgione” di cui dicevano sopra. Questo dipinto è stato
realizzato con la tecnica dei colori ad olio stesi magistralmente su
una tela di dimensioni di 82 per 73 centimetri circa. Anche la
datazione non è certa, si pensa comunque che sia stata realizzata
nel periodo che va dal 1505 al 1508, quindi comunque negli ultimi
anni di vita dell’artista. L’opera è conservata presso le
Gallerie dell’Accademia nella bellissima città di Venezia dove
chiunque può andare ad ammirarla.
Le
ipotesi sulla lettura e sulle vere interpretazioni del dipinto della
tempesta sono numerosi e ancora si dibatte molto su questo. Non si sa
esattamente cosa il Giorgione volesse trasmetterci attraverso
quest'opera. Si pensa quasi certamente che l'artista abbia voluto
omaggiare con la sua arte il grande rispetto che aveva verso la
Natura con tutta la sua magia, ma portatrice anche di una forza
immensa che a volte ha un potere distruttivo, quindi anche
drammatico.
Nel
1530 La tempesta viene citata da un certo Marcantonio Michiel, un
noto collezionista d’arte dell’epoca che sembra la vide a casa di
un tale Gabriel Vendramin che gli esperti indicano come colui che
volle realizzato il quadro. Il Michiel scrive infatti di un quadro in
tela raffigurante un piccolo paese durante una tempesta e con una
“cigana” cioè una zingara dal dialetto veneto e un soldato.
Scrive che fu realizzato per mano del “zorzi” de Castelfranco. Fu
poi anche descritta dal celebre e storico biografo degli artisti cioè
il Vasari.
Guardando
La tempesta possiamo vedere in primo piano una donna sulla destra
seduta che sembra allattare un bambino. La donna è quasi nuda ed è
seduta sembra sul suo vestito con indosso una sorta di mantellina.
Molti la indicano appunto come “la cigana” cioè una misera
zingara. Nella parte sinistra del quadro sempre in primo piano
vediamo un sorta di soldato vestito come un Lanzichenecco che tiene
una lancia che sembra fare la guardia a qualcosa o a qualcuno. Tra i
due personaggi sembra che non ci sia intesa o almeno non vi è un
dialogo visivo. Alle spalle del soldato vi sono delle antiche rovine.
Sullo sfondo si vede un fiume attraversato da un ponte che unisce le
sponde di una cittadina mentre sulla tettoia di una casa si vede un
uccello bianco. Il cielo con le sue nuvole grigie fa presagire la
tempesta che sta per abbattersi sulla città. Un fulmine sembra
annunciare l’arrivo della stessa.
Alcuni
spunti tratti dal sito Wikipedia.
Da
un punto di vista stilistico in quest’opera Giorgione rinunciò
alla minuzia descrittiva dei primi dipinti come la Prova di Mosè o
il Giudizio di Salomone che si trovano agli Uffizi, per arrivare a un
impasto cromatico più ricco e sfumato, memore della prospettiva
aerea leonardiana (verosimilmente mutuata dalle opere dei
leonardeschi a Venezia) ma anche delle suggestioni nordiche della
scuola danubiana. La straordinaria tessitura luminosa è leggibile ad
esempio nella paziente tessitura del fogliame degli alberi e del loro
contrasto con lo sfondo scuro delle nubi.
Alcune
ipotesi interpretative.
Numerose
sono le ipotesi che si sono fatte sul significato della Tempesta di
Giorgione. Da episodi biblici come il ritrovamento di Mosè a quelli
mitologici come Giove ed Io o ancora a quelli allegorici, per esempio
Fortuna, Fortezza e Carità.
Le
possibili interpretazioni sono molte, basate sulla lettura di episodi
biblici, dottrine filosofiche ma nessuna di queste al momento sembra
abbastanza soddisfacente. Ad esempio le interpretazioni basate sulla
dualità uomo-donna, città-ambiente naturale hanno perso consistenza
da quando è stato appurato attraverso dei raggi x che al posto
dell’uomo era raffigurata una donna nuda.
Per
esempio si riportano quattro letture differenti date da altrettanti
studiosi del XX secolo su quest’opera:
Edgard
Wind sostenne che la Tempesta sia un grande collage dove la figura
maschile rappresenterebbe un soldato, simbolo di forza mentre la
figura femminile andrebbe letta come la Carità, dato che nella
tradizione romana la carità era rappresentata da una donna che
allatta. Forza e carità dovrebbero quindi convivere con i rovesci
della natura cioè il fulmine.
Gustav
Friedrich Hartlaub ipotizzò invece che l’opera potesse avere
significati alchemici come la trasformazione del vile metallo in oro
per la presenza dei quattro elementi che sono terra, fuoco, acqua e
aria.
Maurizio
Calvesi pensò ad un’unione tra il cielo e la terra legata alle
teorie neoplatoniche.
Salvatore
Settis, trovando invece un precedente in un rilievo dell’Amadeo
sulla facciata della Cappella Colleoni (Condanna divina e destino dei
progenitori dopo il Peccato originale) ritenne che le figure si
potessero interpretare come Adamo ed Eva dopo la cacciata dal
Paradiso. Il fulmine equivarrebbe alla spada fiammeggiante
dell’angelo. La tempesta diverrebbe così una metafora della
condizione umana dopo il peccato, alla luce della dottrina cristiana.
Al
di là di qualsiasi lettura iconografia resta però lo straordinario
senso per la natura che forse mai prima aveva trovato un così
esplicito ruolo da protagonista.
"Affordable Art Fair" È una mostra internazionale che si terrà a Milano da questo 26 gennaio fino al 28 gennaio, saranno due giorni in cui artisti provenienti da diverse parti del mondo come Abdelkader Benchamma, Doro Balaguer, Eduardo Naranjo, Lita Cabellut e Gabino Amaya Cacho, saranno più di 300 artisti che presenteranno le loro opere al pubblico. Maggiori informazioni sul sito ufficiale della mostra, questa edizione si terrà presto a Parigi e Bruxelles.
RispondiEliminaGiorgione è uno dei più grandi pittori della storia italiana. Unico per l'uso dei colori.
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